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Mafia, riparte da zero il maxi processo a Cosa nostra

ENNA. Un'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa per cui si riparte da zero. E due condanne da ridurre. Torna in appello, ma solo con tre imputati, il maxi-processo a Cosa Nostra di Enna, Caltagirone, Riesi e Messina, che vedeva alla sbarra inizialmente più di dieci imputati. È il dibattimento che ha portato alla condanna definitiva a 17 anni per lo storico boss di Enna Gaetano Leonardo, per otto estorsioni. Si torna in appello a partire dal 16 luglio, quando i giudici dovranno rivalutare tutte le prove, per Filippo Gangi, imprenditore edile di Aidone, condannato a 5 anni in un primo appello, per cui la condanna (per concorso esterno in associazione mafiosa) è stata annullata con rinvio. Allo stato, di fatto, l'appello è da rifare, quindi vige solo l'assoluzione di primo grado. Per la Cassazione i giudici devono analizzare "tutte" le prove, anche quelle chieste dalla difesa. Gangi è difeso dall'avvocato Giovanni Aricò, che ha ottenuto l'annullamento a Roma. In appello la Corte aveva ammesso un testimone, un imprenditore che lo accusava di aver fatto da tramite per una richiesta di pizzo, la cui deposizione fu ritenuta una prova decisiva dai giudici. Ma la difesa aveva chiesto di ascoltare nuovi testimoni - un capocantiere e un altro imprenditore - le cui deposizioni avrebbero potuto confutare quella dell'accusatore. La Cassazione ha scritto che, quando emergono nuove prove in appello, un imputato ha tutto il diritto di chiedere prove a discolpa. E che queste prove vanno ammesse, a meno che non si ritengano "manifestamente superflue o irrilevanti". Non era questo il caso.

Sono da ricalcolare infine le pene inflitte a Pietro Balsamo di Piazza Armerina e Sebastiano Gurgone di Valguarnera. Balsamo era stato condannato a 8 anni per estorsione. Ma per la Cassazione, che ha accolto i ricorsi degli avvocati Sinuhe Curcuraci e Giuliano Dominici, la pena va considerata in continuazione con una precedente condanna; dunque ridotta. Pena da rivedere anche per Sebastiano Gurgone, difeso anch'egli dagli avvocati Curcuraci e Dominici, per cui c'è un "difetto di motivazione" sull'entità della pena, 9 anni. Il giudice deve rivedere tutto "nella sua piena autonomia e decidere", ma motivando meglio.

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