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Agira, morirono per sangue infetto: risarciti gli eredi

Per i giudici, non conterebbe la data in cui si è contratta la malattia ma quella in cui le due donne si sarebbero rese conto di avere subito un danno conseguente a quelle trasfusioni. Adesso un’altra causa servirà a stabilire l’ammontare del risarcimento stesso

AGIRA. Due trasfusioni di sangue infetto, risalenti al 1971 e al 1987, e le donne trasfuse contraggono un'epatite. Il Tribunale di Enna ha deciso che agli eredi delle due donne, difesi dall'avvocato Silvio Vignera, spetta l'indennizzo che avevano già richiesto e che la commissione medica ospedaliera invece aveva negato ritenendo tardive le richieste di indennizzo. Il Ministero della salute è stato condannato a pagare agli eredi un indennizzo, che andrà quantificato in un separato giudizio. Ambedue le donne, che vivevano ad Agira, si erano accorte di avere contratto l'epatite solo molti anni dopo dalle trasfusioni infette, ma le perizie disposte nell'ambito dei due processi hanno confermato, in entrambi i casi, il nesso di causalità tra trasfusione e contrazione della malattia che fra l'altro era stato riconosciuto dalla stessa commissione medica regionale. Le storie delle due donne, di cui si omettono le generalità a tutela del diritto alla privacy dei familiari che attraverso il loro legale, l'avvocato Silvio Vignera, hanno ottenuto di essere risarciti, sono analoghe seppure maturate in tempi diversi. Per la prima signora sebbene lei non lo sappia ancora il calvario dell'epatite comincia nel 1971. A quella data viene ricoverata al Basilotta di Nicosia per delle emorragie e viene sottoposta a diverse trasfusioni. I primi segni della malattia, infatti, si manifestano dopo un ventennio e nel 1992 arriva la diagnosi di epatite. E solo nel 2007, per la prima volta, le viene prospettata la possibilità che abbia contratto la malattia per una trasfusione. La prima reazione emotiva è di incredulità. La donna però risale subito alle trasfusioni del 1971. Scatta subito dopo la richiesta di indennizzo e nel 2011 la commissione medica regionale che riconosce il nesso di causalità tra trasfusione e malattia si esprime negativamente sull'indennizzo perché ritiene la richiesta tardiva. Infatti sono passati più di tre anni dalla contrazione della patologia epatica. Nel 2012 si apre il processo dinanzi al Tribunale civile di Nicosia. Analoga situazione per la seconda signora trasfusa nel 1987. All'epoca viene ricoverata, all'ospedale Garibaldi di Catania, per un intervento chirurgico che prevede delle trasfusioni che la rimetteranno in sesto ma che le costeranno un'epatite di cui si accorgerà molto tempo dopo, ossia nel 2001, ma che quella malattia poteva essere causata da una trasfusione infetta glielo dicono solo nel 2009. Nel 2010 presenta istanza alla commissione medica regionale che solo nel 2012, mentre intanto la signora è già deceduta, riconosce il nesso di casualità tra la trasfusione e la contrazione dell'epatite ma rigetta la domanda perché sarebbe stata presentata troppo tardi. Gli eredi quindi si rivolgono direttamente al Ministero della Salute, ma senza ricevere risposte e così, assieme all'avvocato Vignera, si rivolgono al Tribunale da cui adesso hanno ottenuto ragione. Nei due casi il Tribunale di Enna, che ha assunto le cause dopo la soppressione del Tribunale di Nicosia, ha ritenuto che la tardività nella presentazione della domanda non ci sarebbe perché non conterebbe la data in cui si è contratta la malattia ma quella in cui le due donne si sarebbero rese conto di avere subito un danno conseguente a quelle trasfusioni. E in ambedue i casi la richiesta di indennizzo era arrivata tempestivamente e comunque entro i tre anni utili per ottenere un risarcimento. Nei due casi le sentenze aprono la strada all'indennizzo.

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