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Leonforte, due imprenditori:
"Così ci hanno chiesto il pizzo"

Sia Gaetano Debole che l’altro imprenditore di recente hanno subìto intimidazioni: al primo qualcuno ha lasciato a casa una busta con proiettili di fucile; al secondo delle croci incise sulla carrozzeria dell’auto

LEONFORTE. «Quando la polizia ci ha contattato, siamo stati quasi indotti a sporgere denuncia. È assurdo che ancora oggi qualcuno pensi di poter pretendere il pizzo dagli imprenditori, per il semplice fatto che stanno svolgendo un lavoro pubblico». A parlare sono due giovani imprenditori leonfortesi, che hanno presentato richiesta di costituzione di parte civile, assistiti dal Fai di Tano Grasso e dall’avvocato Elisa Nuara del foro di Gela, all’udienza preliminare «Homo Novus», dopo aver subito tentativi di estorsione dal clan leonfortese di Cosa Nostra. «Il primo a contattarmi - racconta Gaetano Debole - fu un agirino, che mi fece avvicinare da un suo amico. Disse che avevo fatto un lavoro a Enna senza chiedere il permesso a nessuno e che gli ennesi si erano arrabbiati: dovevo dare almeno un fiore. Dovevo mettermi a posto. Due giorni dopo venne un giovane leonfortese, che conoscevo di vista, dicendosi arrabbiato perché avevo parlato con l’agirino, come se ci fossi andato a parlare io. Disse che a Leonforte comandava lui e che io ero paesano suo, dunque dovevo pagare lui». La richiesta di pizzo era di 6mila euro all’anno, in due rate, Natale e Ferragosto, per «comprare il panettone ai ragazzi che sono in galera». «Poi la polizia mi diede un registratore e registrai le richieste, anche se non fu semplice - prosegue - perché lui (il leonfortese, ndr.) era molto attento. Mi ha fatto posare il telefonino perché temeva di essere intercettato». Quel dialogo registrato è stata la prova decisiva. In breve i pm Roberto Condorelli e Giovanni Di Leo della Dda di Caltanissetta hanno disposto il fermo di otto persone - eseguito dagli agenti della squadra mobile di Enna e del commissariato di Leonforte, diretti dai vicequestori Giovanni Cuciti e Salvatore Tognolosi - sette delle quali ancora detenute. Di recente Gaetano ha subito un’intimidazione: qualcuno gli ha lasciato a casa una busta contenente due proiettili di fucile calibro dodici a pallettoni, la cosiddetta «lupara». Racconta la sua storia seduto al tavolino di un bar. Accanto a lui c’è un altro leonfortese, suo coetaneo, che come lui ha subìto richieste di pizzo e che si è costituito parte civile. In questa fase preferisce non si riporti il suo nome. Pure lui ha ricevuto di recente un avvertimento inquietante, negli stessi giorni di Gaetano. Qualcuno gli ha fatto trovare una grossa croce disegnata con un punteruolo sul cofano anteriore della macchina, più altre quattro croci, davanti e di lato, nella vettura. «All’inizio, stavo lavorando ad Agira e un giovane si avvicinò a un mio dipendente dicendo che mi stavano cercando - racconta - perché stavo lavorando tranquillo, lasciando il materiale nel cantiere, quasi rinfacciandomi che non avevo subito nessun furto o danni di altro tipo. Da quel momento dissi ai dipendenti di riportare tutti i mezzi a Leonforte, ogni sera, dopo l’orario di lavoro. Poi un giorno vidi un uomo che mi fissava davanti a un bar, vicino alla Villa Bonsignore. Era l’uomo di Agira, che aveva mandato uno dei suoi a parlare con i miei dipendenti. Si avvicinò e mi disse il suo nome e cognome. Aggiunse che io stavo lavorando ma non avevo cercato nessuno, dunque mi ero comportato male. Dovevo cercare qualcuno, cioè dovevo pagare, per comprare il panettone a ”ddi picciutti ca su in galera"». Dopo qualche giorno si avvicinò un leonfortese e lo cacciai via, quando mi suggerì di pagare perché erano «amici che ci saremmo trovati». Risposi che magari quelli erano amici suoi, non miei, e che non si doveva più permettere di venire da me a cercare di convincermi. Infine venne un giovane di Leonforte. Disse che dovevo pagare 2 mila euro ad agosto e 2 mila a Natale e che dovevo darli a lui. Già eravamo sotto controllo. Tentai di registrare un incontro, ma non funzionò. Poi, dopo esser stati contatti dalla polizia, abbiamo deciso di denunciare». «Siamo contenti - concludono - che ci siano tutte queste richieste di costituzione di parte civile (ben otto, fra Comune, imprenditori, associazioni antiracket e Confindustria, ndr.). È segno che qualcosa può davvero cambiare».

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