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Enna, delitto dell'ex assessore Mungiovino: no alla revisione del processo

ENNA. La Corte d’appello di Catania dice no alla revisione del processo per l’omicidio di Giovanni Mungiovino, l’ex assessore e presidente dell’ospedale Umberto I di Enna assassinato il 9 agosto 1983 sulla strada statale che ricongiunge Sant’Anna con il bivio di Capodarso. Non sarà annullata la condanna a colui che è stato ritenuto, con sentenza definitiva, l’esecutore materiale del delitto di mafia, il meccanico di Villarosa Giacomo Sollami.

La Corte etnea, presieduta dal giudice Giuliana Fichera, dunque, si è espressa così, respingendo la richiesta di riapertura del processo, in appello, che era stata formulata dal difensore di Sollami, il penalista Ignazio Maccarrone del foro di Catania. Alla decisione si è giunti dopo la clamorosa ritrattazione del superteste della difesa, le cui dichiarazioni avevano portato i giudici a disporre un’udienza per sentirlo. Sostanzialmente quell’uomo, che aveva fornito un alibi a Sollami per il giorno dell’omicidio, in aula si è rimangiato tutto, dicendo che sì, parlando con l’avvocato, poteva averlo detto, ma che le cose non sono andate in quel modo. Per questo l’avvocato di Sollami si è riservato di presentare una denuncia. Ma per il momento il legale afferma di attendere la decisione della Corte d’appello per valutare se impugnarla, o meno, in Cassazione.

Sull’omicidio, si ricorda, vi è già una sentenza definitiva che riguarda sia i mandanti, il boss corleonese Totò Riina e il capomafia nisseno Giuseppe Piddu Madonia – ritenuti colpevoli al pari di Bernardo Brusca e Francesco Messina Denaro, i quali però non sono mai stati processati perché, quando il processo si è aperto, erano già morti – che, come detto, l’esecutore materiale, Sollami appunto.

L’uccisione di Mungiovino fu il più classico dei delitti di mafia degli anni ‘80, anche nella dinamica. La vittima fu colpita a morte da due killer, che gli spararono da una moto in corsa, mentre stava guidando a due passi dalla miniera di Pasquasia. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, la cupola mafiosa avrebbe ordinato il delitto nel corso di una riunione, perché sarebbe stato «inviso» ai Corleonesi.

Una spiegazione che, va detto, non ha mai convinto pienamente quanti conoscevano Mungiovino, persona di cui era noto il forte impegno politico nella Democrazia Cristiana, un uomo molto conosciuto e stimato, che era anche proprietario di un cinema. Fonti vicine alla vittima, in estrema sintesi, hanno sempre sostenuto che il movente e i mandanti veri, indipendentemente dal ruolo che ebbe Cosa Nostra nell’uccisione, non avevano nulla a che vedere con la mafia.

Sta di fatto che Sollami è stato condannato e che aveva chiesto la riapertura del processo, sulla scorta delle presunte rivelazioni del nuovo testimone. Secondo quanto è emerso, quell’uomo aveva inizialmente sostenuto di essere stato assieme a Sollami, quel giorno di 34 anni fa, e di ricordarlo con esattezza, perché il meccanico lo aveva invitato a mangiare da lui. Prima, aveva aggiunto, erano stati assieme a Dittaino. Un alibi in piena regola, insomma, tanto da rimettere tutto in discussione. L’ergastolo, per Sollami, è definitivo dal 28 gennaio 2014, data in cui la Corte di Cassazione respinse il ricorso del suo difensore dell’epoca. Il condannato, va ricordato infine, alcuni mesi fa ha ottenuto la detenzione domiciliare, perché le sue condizioni di salute sarebbero incompatibili con il carcere.

Quando la Corte catanese aveva disposto la fissazione di un’udienza, per discutere la revisione del processo, l’avvocato Maccarrone si era detto “convintissimo che il signor Sollami è innocente”.

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