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L'estorsione ad una discoteca di Leonforte, Monsù confessa: «Sono stato io»

LEONFORTE. Nel 2013 Cosa Nostra provò a imporre il pizzo al gestore della discoteca di Leonforte. La cosca capeggiata da Giovanni Fiorenza gli avrebbe chiesto 100 euro, una piccola cifra da intendersi come «primo segnale» della sua scelta di pagare la mafia, in cambio di protezione. Per convincerlo, gli uomini del clan gli avrebbero recapitato un avvertimento inequivocabile: una bottiglia di liquido infiammabile e due cartucce calibro 12, lasciate per terra in prossimità dell’ingresso della discoteca. Poi però furono arrestati tutti e non ci fu alcun pagamento.

Questa ipotesi di reato, per cui è stato chiesto il rinvio a giudizio del boss Fiorenza, del figlio Alex, di Giuseppe Viviano e di Angelo Monsù, ha trovato adesso un importante punto a favore: Monsù, difeso dall’avvocato Antonio Impellizzeri, ha confessato. E ora lui, e solo lui, va verso il patteggiamento dell’accusa di tentata estorsione aggravata dalle finalità mafiose, contestata a tutti e quattro. In pratica nel 2013 gli esponenti del clan si misero in moto per cercare di ottenere il pizzo, ma nel frattempo finirono tutti in prigione, perché scattarono i fermi dell’operazione Homo Novus, disposti dalla Dda di Caltanissetta.

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