ENNA. A un mese esatto dalle sue dimissioni dallo Spallanzani ieri Fabrizio Pulvirenti, il soldato ferito nella lotta contro Ebola che ha sconfitto è tornato a lavoro. "Ho bisogno di tenermi impegnato", risponde quando qualcuno gli chiede se non è troppo presto. Il reparto di Malattie infettive dell'Umberto I non sarà di certo un campo di battaglia impegnativo come quello di "Lakka" in Sierra Leone dove il medico di Emergency ha salvato molte vite umane ma ha rischiato di perdere la sua spinto da un forte senso di solidarietà. Eppure anche nella tranquilla corsia dell'ospedale ennese la battaglia è sempre la stessa: sconfiggere il dolore, sconfiggere la malattia. Ieri l'infettivologo ha smesso ufficialmente i panni di paziente per indossare quelli da medico.
Camice bianco, camice e pantaloni verdi e un bel sorriso sul volto dipinto di bianco, si è presentato così nel suo reparto e colleghi e pazienti si sono accostati a lui con cordialità e parole di stima. Lui non ha perso tempo e insieme al primario ha visionato le cartelle cliniche dei pazienti ricoverati prima di iniziare le visite. «Dopo le forti emozioni che ho vissuto in questi mesi sto cercando di rientrare nella routine di tutti i giorni». A Enna ogni turno dura 6 ore e 20 in Africa dodici, in Sierra Leone combatteva contro un'epidemia mortale nella sua attività ospedaliera si occupo prevalentemente di epatologia come l'epatite C.
Dottore qual era la sua giornata tipo?
«Sveglia alle 6,30 una breve colazione e subito in jeep per raggiungere il Centro. Appena arrivati ci riunivamo con i colleghi, volontari come me, per lo scambio delle consegne. Aggiornavamo le cartelle, stabilivamo le terapie almeno quelle programmabili ma soprattutto ci informavamo reciprocamente sui decessi avvenuti durante la notte. E poi subito in zona rossa dove si accede mediamente tre volte al giorno».
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