ENNA. Per i giudici, avrebbe fatto prostituire la compagna per ricavare 50 euro da giocare al “gratta e vinci”. E l’avrebbe maltrattata, sottoponendola a indicibili sevizie, tra cui la morbosità di violentarla usando un martello. Ma adesso la difesa di A.B., manovale quarantenne condannato a 7 anni, ha fatto ricorso in appello. In pratica il suo avvocato, il penalista Gianpiero Cortese, contesta vari punti del racconto della donna e la pena, che sarebbe eccessiva. La sentenza, l’anno scorso, era stata emessa dal Tribunale collegiale di Enna, presieduto da Giuseppe Tigano. E ora il dibattimento approderà dinanzi ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta. È stato il racconto della giovane a far emergere tutti i retroscena del caso. Durante l’indagine, la polizia rinvenne tracce del dna della vittima sul martello usato dall’operaio. La donna, parte civile al giudizio, è assistita dall’avvocato Biagio Scillia, che nel giorno del verdetto ha espresso soddisfazione, perché i giudici hanno accolto pienamente la tesi della vittima. «È una sentenza importante – aveva detto l’avvocato Scillia –. Possiamo dire che la giustizia ha fatto il suo corso». Già durante il primo grado è stato un processo lungo e estenuante, soprattutto per la persona offesa, perché iniziato nel gennaio del 2013 e chiusosi lo scorso novembre. L’arresto del manovale, nell’ambito di un’indagine condotta dalla sezione Reati sessuali della Squadra Mobile di Enna, risale al luglio del 2007.