Ammontano a 36 anni di reclusione le condanne del processo dell'operazione «Capolinea», con la quale la Squadra Mobile di Enna sgominò un gruppo criminale di stampo mafioso, con arresti di diversi soggetti, esponenti della famiglia di «Cosa Nostra» di Enna, dei clan catanesi dei «Santapaola-Ercolano» e dei «Cappello-Bonaccorsi», che imponevano il pagamento del «pizzo» ad un imprenditore ennese, che effettuava lavori di posa della fibra ottica nelle province di Catania e Siracusa ed in alcuni quartieri della città di Catania. Il Tribunale di Enna, in composizione collegiale, con rito abbreviato, ha condannato, Salvatore La Delia a 15 anni e quattro mesi, Eduardo Mazza a 6 anni e otto mesi, Antonio Salvatore Medda a 6 anni, Filippo Scalogna a 8 anni. E li ha anche condannati al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, per la cui determinazione ha rimesso le parti ad una sparato giudizio civile. L'attività di indagine aveva fatto emergere che il prevalente interesse di Cosa nostra ennese fosse rivolto alle attività estorsive. Le attività investigative erano partite dal monitoraggio dell'ennese La Delia che era emerso subito come avesse «significativi contatti telefonici» con un imprenditore ennese, amministratore unico della ditta, assegnataria di lavori in subappalto, per lo scavo e la messa in opera della fibra ottica nei Comuni di Noto, Palazzolo Acreide, Augusta, Catania e a Santa Maria di Licodia. La presenza del La Delia, per gli investigatori, assicurava all'imprenditore la «necessaria copertura» per potere eseguire in «tutta tranquillità» i lavori in quei territori laddove gli appaltatori sono storicamente soggetti a richieste estorsive da parte delle famiglie mafiose sia locali sia da quelle della limitrofa provincia di Catania. L'articolo completo nell'edizione di Agrigento, Caltanissetta ed Enna del Giornale di Sicilia di oggi.