«La Curia, nella persona del vescovo, ometteva con ogni evidenza qualsivoglia seria iniziativa a tutela dei minori della sua comunità e dei loro genitori, nonostante la titolarità di puntuali poteri/doveri conferiti nell’ambito della rivestita funzione di tutela dei fedeli, facilitando l’attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione». È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza che ha disposto la condanna a 4 anni e sei mesi, lo sorso 5 marzo, per il sacerdote di Enna Giuseppe Rugolo per violenza sessuale aggravata a danno di minori.
Il deposito delle motivazioni arriva dopo 137 giorni e conferma l’impianto accusatorio che la procura di Enna ha sostenuto contro Rugolo. Si tratta di 222 pagine dalle quali emerge con chiarezza che la vittima che ha denunciato gli abusi «ha mostrato particolare lucidità, coerenza e logicità , offrendo un’articolata ed originale narrazione in termini congrui rispetto ai fattori spazio-temporali in cui i fatti denunciati vanno necessariamente collocati».
Dunque, la vittima degli abusi che ha denunciato il sacerdote è stata ritenuta credibile, così come gli altri giovani, per i quali il tribunale ha accertato la violenza sessuale, mentre ancora erano minorenni. Secondo il collegio giudicante, presidente Francesco Paolo Pitarresi e giudici Elisa D’Aveni e Maria Rosaria Santoni, quest’ultimo giudice estensore, il vescovo di Piazza Armerina, Rosario Gisana, avrebbe facilitato, con il suo comportamento, gli abusi perpetrati dal sacerdote. E aggiungono che proprio la condotta «coscientemente colposa da parte del vescovo Rosario Gisana» rende legittima la condanna al risarcimento del danno della Curia nella sua qualità di responsabile civile per i pregiudizi cagionati da padre Rugolo». Le parti ora hanno 45 giorni per proporre un eventuale appello.
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