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Enna: uccise il fratello, libero dopo dieci anni

ENNA. È libero dopo meno di dieci anni Paolo Trovato, 66 anni, l'allevatore che il 16 febbraio 2005 uccise a Pergusa il fratello Francesco e sparò anche al nipote quindicenne. Il Tribunale di Sorveglianza di Catania gli ha concesso l'affidamento in prova ai servizi sociali. Trovato era stato condannato a 15 anni e 8 mesi di reclusione. La sentenza è definitiva dall'ottobre del 2008, dopo il pronunciamento della Cassazione.
Il magistrato di sorveglianza adesso ha accolto l'istanza dell'avvocato di Trovato, il penalista piazzese Sinuhe Curcuraci, e lo ha rimesso in libertà, disponendo che svolga un servizio sociale. Ma vanno sottolineati i numeri: Trovato ha beneficiato delle attenuanti generiche, che gli sono state riconosciute al processo, e dello sconto di un terzo di pena perché aveva scelto il giudizio abbreviato. Questo aveva portato la pena a scendere fino a 15 anni e 8 mesi. Poi sono stati sottratti 3 anni per l'indulto e altri ancora per buona condotta.
L'ennese, si ricorda, è stato riconosciuto colpevole di omicidio volontario e tentato omicidio. È stato lungamente detenuto, dopo essersi consegnato spontaneamente ai carabinieri della sezione di Pg della Procura di Enna, poche ore dopo il delitto. La sentenza di primo grado era stata emessa dal gup di Enna Pasqualino Bruno - che aveva condannato l'imputato a 16 anni e 8 mesi - e poi parzialmente ridotta, di un anno, dalla Corte di appello di Caltanissetta, presieduta da Giovanni Tommaso Perrino.
La cronaca dei fatti è il resoconto di un delitto assurdo. Il movente sarebbe legato alla gestione delle galline.
Paolo incolpava Francesco di aver sostituito i suoi giovani polli con altri più anziani e da qui sarebbe sorto un litigio. Il dissidio, invece, ben più radicato, sarebbe sorto da altre ragioni, ben più serie e riconducibili all'eredità del padre morto. La casa di campagna della mamma dei due fratelli si trova in contrada Pollicarini. Paolo faceva spesso compagnia alla madre, mentre Francesco frequentava l'abitazione.
Quel maledetto pomeriggio, Francesco si armò di un tondino di ferro, mentre Paolo aveva in mano il fucile. Francesco esclamò: «Avanti, spara!». Paolo non ci pensò due volte: mirò ad altezza d'uomo e fece fuoco. Poi partì un altro colpo, secondo la sentenza intenzionalmente, diretto verso il nipote.
Lo zio lo raggiunse ma gli disse che non lo avrebbe ucciso e avrebbe anche aggiunto: «Tu sei un'anima innocente». Paolo infine al processo si disse profondamente pentito di ciò che aveva fatto e si giustificò, di fronte ai giudici, dicendo di aver sparato per difendersi. Al processo, però, pur avendo ottenuto le attenuanti - e benché fu riconosciuto che ci fu uno scontro fra i fratelli, in cui la vittima aveva in mano un tondino - non gli è stata riconosciuta la derubricazione del reato, come chiedeva la difesa, in eccesso di legittima difesa.

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