ENNA. Morì per un’overdose di eroina nel 2001, senza che nessuno si accorgesse di niente, nonostante fosse recluso al carcere di Enna. Salvatore Giglio, la vittima, aveva solo 25 anni. E per omessa vigilanza il Ministero della Giustizia è stato condannato tre anni fa a pagare quasi un milione di euro di risarcimento alla sua famiglia. Ma ora c’è il ricorso dell’Avvocatura dello Stato, che ha impugnato il verdetto. E l’udienza, dopo che il procedimento è già stato istruito e incardinato, dinanzi alla Corte di Appello di Caltanissetta, si celebrerà il 14 ottobre. Sono passati quasi quindici anni da quel maledetto 12 aprile 2001, quando Salvatore, che si trovava in carcere per cessione di stupefacenti, perse la vita.
La sentenza civile di primo grado è stata emessa dal Tribunale monocratico di Caltanissetta tre anni fa. Il giudice ha accolto l’azione presentata dai genitori, fratelli e sorelle del defunto, assistiti dagli avvocati Francesco Impellizzeri e Carmelo Lombardo, in sede civile; e Antonio Impellizzeri in sede penale. Non è mai stato chiarito esattamente chi e come sia riuscito a fare entrare la droga all’interno del penitenziario. La ricostruzione più plausibile fu che avessero portato la droga in carcere, durante un colloquio, a un altro detenuto, e che lui l’aveva ceduta a Giglio. Da qui l’inquietante interrogativo della famiglia, a cui in primo grado, il Tribunale civile, ha risposto con nettezza: è possibile che nessuno si accorga di niente e che l’eroina entri in una cella, dove un detenuto può tranquillamente drogarsi usando una siringa, «oggetto il cui possesso – si legge in sentenza – non è certamente consentito ai detenuti».
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